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Pio VI, papa.

Al secolo Giannangelo Braschi. Pontefice dal febbraio 1775 al luglio 1799. Membro di un'antica famiglia comitale, si laureò in utroque iure nel 1735. Presto fu chiamato come segretario dal cardinale Ruffo, legato pontificio a Ferrara, che egli rappresentò nelle diocesi di Ostia e Velletri. Alla morte del suo protettore, fu nominato aiutante di studio del papa e solo più tardi e ormai in età matura, essendo rimasto fino ad allora laico, fu ordinato sacerdote. Durante i pontificati di Clemente XIII e XIV, ricoprì cariche prestigiose nella burocrazia curiale e finanziaria (referendario della segnatura, uditore cardinalizio, tesoriere della camera apostolica). Nel 1773 gli fu conferita la porpora cardinalizia e, alla morte di Clemente XIV nel 1774, fu eletto papa grazie a un accordo con i cardinali francesi e all'impegno di non ricostituire la Compagnia dei Gesuiti. Egli si trovò a guidare la Chiesa in un momento di grandi difficoltà tanto sul piano politico (Giuseppinismo, Gallicanesimo, Giansenismo, Febronianismo, ecc.), quanto su quello culturale (Illuminismo, Enciclopedismo, ecc.), quando ogni corte europea intraprendeva politiche di limitazione dell'autorità ecclesiastica e di laicizzazione dello Stato. Durissimi furono gli scontri giurisdizionali che P., di indole peraltro piuttosto mite e incerta, fu costretto ad affrontare. In Italia il granduca Leopoldo di Toscana, sostenuto anche dal vescovo di Pistoia, realizzò riforme in campo ecclesiale e indisse una sorta di sinodo nel 1786, che il papa riuscì a sconfessare solo nel 1794. Con il Regno borbonico di Napoli i dissensi riguardo le ingerenze della Chiesa negli affari di Stato furono tali che il Governo rifiutò nel 1788 il secolare omaggio a Roma della chinea. Non mancarono conflitti neppure con la Repubblica di Venezia, ma i problemi più gravi furono posti a P. dai grandi Paesi europei, prima di tutto l'Austria di Giuseppe II, presso cui nel 1782 il papa si recò, senza successo, per indurlo a condannare la dottrina giurisdizionalista e i vescovi febroniani. Di maggior entità le tensioni che si crearono con il Governo rivoluzionario francese. Inizialmente il papa fu attendista e il suo primo breve di condanna fu emanato solo nel 1791, contestualmente alla rottura dei rapporti diplomatici con la Francia, quando già era entrata in vigore la Costituzione civile del clero e l'obbligo di giuramento degli ecclesiastici ed erano stati occupati i possedimenti pontifici di Avignone e del Contado Venassino. Quando le truppe napoleoniche occuparono l'Italia settentrionale, P. fu obbligato ad accettare l'armistizio di Bologna del 1796, per il quale dovette rinunciare alla legatura di Bologna, Ferrara e della Romagna, e a riconoscere la Repubblica francese; le clausole del successivo Trattato di Tolentino (1797), però, furono anche più rigide. L'uccisione nella capitale di Bassaville prima e Duphot poi diedero occasione all'occupazione di Roma da parte delle milizie francesi e la proclamazione della Repubblica romana (febbraio 1798), mentre il papa veniva deposto dalle sue prerogative di sovrano temporale e costretto a lasciare i territori pontifici. Considerato prigioniero, fu condotto a Valence nel dipartimento della Drôme, dove morì poche settimane dopo. Nel 1801 Napoleone concesse che la sua salma venisse portata a Roma e tumulata in San Pietro, dove Canova gli eresse un monumento. L'azione di P. interna allo Stato pontificio si esplicò in campo economico con l'impulso all'agricoltura, in particolare attraverso la bonifica delle terre paludose dell'agro romano, la promozione del commercio e dell'industria e la riforma del catasto. Egli fu anche generoso mecenate, curò l'aspetto monumentale della città, arricchì i Musei Vaticani, protesse le lettere e le arti, accogliendo a Roma vari artisti, tra cui Canova e David. Gli successe Pio VII (Cesena 1717 - Valence, Francia 1799).